Molto spesso se si subiscono vessazione, persecuzioni o violenze sul posto di lavoro subito è facile pensare subito al Mobbing.
Tuttavia, gli elementi identificativi del mobbing sono:
- la presenza di almeno due soggetti, il mobber (parte attiva) ed il mobbizzato (parte passiva), che entrano in contrasto tra di loro;
- l’attività vessatoria continua e duratura;
- lo scopo di isolare la vittima sul posto di lavoro e/o di allontanarla definitivamente o comunque di impedirle di esercitare un ruolo attivo sul lavoro;
Ne deriva che per configurare il mobbing devono sussistere tutti questi elementi, oltre al danno alla salute.
Ma se le azioni determinanti stress nel lavoratore non sono continuative, si esclude la possibilità di agire per mobbing e ottenere un risarcimento del danno?
La risposta è no.
Qualora la fattispecie concreta non sia riconducibile ad una ipotesi di mobbing, in ragione del difetto degli elementi integranti, quali la molteplicità dei comportamenti vessatori nonché la sistematicità, espressiva dell’intento persecutorio, la giurisprudenza ha riconosciuto tutela al lavoratore, ex art. 2087 c.c., per casi cd. di straining.
Infatti, la differenza fondamentale tra lo straining e il mobbing consiste proprio nel fatto che nel primo caso è presente un’azione unica ed isolata, mentre nel secondo è fondamentale la continuità delle azioni vessatorie.
Riassumendo, perché possa configurarsi lo straining è pertanto sufficiente anche una sola azione, purché i suoi effetti siano duraturi nel tempo, come nei casi di demansionamento o di trasferimento.
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